Proposta Radicale 0 2022
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RASSEGNE

LA TELECAMERA CHE “SCRIVE”

Con i libri di inviati che raccolgono le loro corrispondenze, i loro reportages e inchieste, i racconti, le riflessioni, i ricordi, si possono riempire interi, vasti scaffali di librerie; e naturalmente ce ne sono anche di buoni, di eccellenti, che non si limitano a un solipsistico auto-compiacimento poco o nulla giustificato. Mancava però il racconto, la “testimonianza” di una figura professionale fondamentale nel giornalismo televisivo: quello del tele-cineoperatore. Lacuna colmata con “Santità, faccia finta di pregare, racconti di un inviato”, di Giorgio Moscatelli. 

   Qui già si coglie un aspetto, essenziale, del lavoro di Moscatelli e dei suoi colleghi. Un giornalista della carta stampata può essere immaginifico, nelle sue corrispondenze; le può realizzare (succede spesso), senza scomodarsi e andare sul posto, restandosene comodamente nella hall di un albergo. Chi, al contrario, “indossa” una telecamera e con quella “scrive”, deve per forza essere “boots on the ground”: chi si occupa delle immagini, fotografo o tele-cineoperatore che sia, per far vedere, deve vedere lui per primo. E’ differenza. Per quello che riguarda in particolare la televisione, il giornalista che va in video, che presta la voce ( e capita si prenda premi e complimenti), può scrivere il testo più bello e commovente del mondo, ma se non c’è un’immagine, quel testo, e il suo “esibirsi” non valgono nulla.     

   Con “Santità, faccia finta di pregare” Moscatelli, giornalista inviato della RAI che parla e racconta con le sue immagini, descrive una realtà poco conosciuta, e che non è valorizzata come si dovrebbe e merita. 

   Il giornalismo televisivo non è un qualcosa per “solisti”, per quanto virtuosi possano essere. E’ un lavoro di squadra: c’è chi realizza l’intervista, o scrive e legge poi il testo; ci sono i Moscatelli che procurano le immagini; gli assistenti dei tele-cineoperatori; e infine i professionisti che selezionano le immagini, le “montano”, dando senso e ritmo al racconto giornalistico. Quando tra i componenti della “squadra” si crea una sorta di “chimica”, il servizio può dirsi riuscito. Poi, certo, occorre una buona dose di fortuna: il trovarsi nel posto giusto al momento giusto, a volte è il risultato del caso, non di un calcolo.   Moscatelli fa parte di una generazione di giornalisti RAI di cui si è come smarrita la matrice: professionalmente capace, una garanzia le trasferte con lui; diplomato nell’Istituto Superiore di Cinematografia, cresciuto alla scuola di maestri del calibro di Alessandro Blasetti, Nanni Loy, Eduardo de Filippo, Franco Zeffirelli; poi in forza alla RAI, esperienze al “Tg2”, al “Tg3”, a “Rai News”, un bagaglio di esperienze (i famosi boots on the ground), che vanno dalla tragedia a Vermicino, al terremoto in Irpinia; dalla Polonia stretta tra Solidarnosc, Lech Walesa e il generale Jaruzelski alla fine del regime di Pinochet in Cile; dalle infernali miniere di carbone in Siberia a Cernobyl; dalla guerra nel Golfo alla guerra civile nella ex Jugoslavia…I racconti che compongono questo libro, sono una raccolta di “frammenti” dal vivo, esperienze in “diretta” di un giornalista che ha lavorato con una telecamera sulla spalla, e pur avendo visto tante cose che lo avranno senz’altro turbato, commosso, inquietato, gli avranno fatto sacramentare tutti i santi del calendario, non ha comunque mai perso il gusto per lo sberleffo, che ha saputo coniugare un saggio ma non cinico disincanto con una non comune sensibilità e partecipazione; una dolcezza ruvida che riesce a trasferire alle immagini. 

   Da ultimo, il titolo: “Santità, faccia finta di pregare”. Si riferisce a un episodio gustoso, il lettore se lo vada a cercare; ne sarà divertito, ma è anche istruttivo. Uno dei tanti momenti che rivelano anche di che pasta è fatto il suo autore.

“Santità, faccia finta di pregare”,

di Giorgio Moscatelli

Bonanno Editore pagg. 188, 18 euro 

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